Chiudere i buchi infernali di Mirella Pennisi
Chi, approvando la 180, capì veramente, ormai nel lontano 1978, cosa stava facendo?
Non si trattava di una terapia miracolosa contro la malattia mentale. E neppure l’affermazione della sua inesistenza.
Quella legge non decretava la fine del “dolore psichico”, del “male di vivere”, tanto meno di quelle malattie che trasformano un essere umano fino a dare l’impressione, ma soltanto questa, che non sia più tale.
La 180 affermava qualcosa di molto più difficile da realizzare: affermava, con la forza della legge, che il “folle”, quello vero, aveva ed ha pieno diritto di cittadinanza nelle strade, nelle scuole, nelle fabbriche, nelle case. E la chiusura dei manicomi doveva essere questo: la fine della segregazione di uomini e donne che avevano subito la condanna all’esilio dalla società.
Fu scritto sulla carta ma nessuno fu capace di farlo.
Certo interessi economici hanno avuto il loro peso: fino a qualche mese fa la USL continuava a versare ai manicomi “chiusi sulla carta” dalla 250 mila alle 400 mila lire al giorno per ogni paziente. Anche la necessità di mantenere aperti luoghi di potere e clientelismo ha contato: così assunzioni di pseudo infermieri senza alcuna professionalità, appalti di mense dove non si mangia, appalti di pulizie che non puliscono (perché bambini, bestie e pazzi non sanno e non possono lamentarsi). C’è qualcosa di terribile in questi inferni terreni. Si entra pieni di grandi idee e volontà. Poi, piano piano, si viene fagocitati da un mostro diabolico che nei manicomi, tutti, e in tutti allo stesso modo, trasforma uomini in carnefici, santi in indifferenti, eroi in pavidi.
In tutto questo hanno giocato anche le paure di psichiatri incapaci di instaurare rapporti umani con pazienti che nel migliore dei casi gli facevano pietà, quando non schifo.
Abbiamo visto donne con una gamba rotta crocifisse ad ingessature che le impedivano qualsiasi movimento. La scienza veterinaria è molto più progredita nell’impedire ai cani di leccarsi le ferite.
Cosa e chi a permesso a tutto questo di esistere, ancora oggi? Sicuramente il potere, che per controllare, ha bisogno di normalizzare e nascondere i diversi. Ma anche la nostra naturale paura del mistero che siamo, mistero che preferiamo analizzato, spiegato, generalizzato, giudicato e magari rinchiuso, da pseudo competenti che hanno “il permesso sociale” di separare la malattia dalla devianza, la normalità della pazzia.
È possibile allora in una società così chiudere le “prigioni della follia”?
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Svuotare i manicomi è solo l’inizio. La stessa psichiatria deve essere riformata
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No, se non creando “valide” alternative. È lo slogan di tutti, del ministero, delle famiglie, degli stessi psichiatri. Il ministro della sanità nei mesi scorsi dichiarò che: “nessun paziente di manicomio fosse buttato sulla strada”. Ma non ce ne era bisogno.
Ma cosa è veramente successo dopo il 31 dicembre 1996? Molto poco. Pochi manicomi hanno veramente chiuso 6 o 7 possiamo fare qualche nome: santa Maria della Pietà di Roma, Bergamo, Parma, l’Aquila ma sono veramente pochi confronto ai 76 ancora esistenti sul territorio e non dimentichiamo che ci sono ancora circa 15,000 pazienti ricoverati in “quelle” strutture.
È anche vero che c’è mancanza di servizi sul territorio, che non ci sono strutture dove poter trasferire i pazienti e farli vivere in condizioni più decenti!! Ma spesso il servizio pubblico è gestito da quello psichiatra che preferisce ricevere i pazienti nel suo studio e che, insomma, ha tutto l’interesse per non fare funzionare i servizi pubblici per poter, magari, consigliare cliniche private in cui lui stesso lavora il pomeriggio.
Molti sono caduti nella trappola creata da alcuni psichiatri che hanno detto che gli appartamenti non ci sono, che non ci sono le comunità e nessuno si è chiesto perché invece dove le amministrazioni pubbliche hanno voluto, hanno potuto.
Non hanno capito che non c’è nessun “mostro nero” sconosciuto e segreto che impedisce la creazione di strutture alternative al manicomio.
I colpevoli sono nelle stanze delle Regioni, delle ASL (aziende sanitarie locali), del Ministero.
La Legge 180 un fallimento? NO! È solo una questione di interessi.
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