Molto rumore per nulla?
Sussurri e grida: poliziotti, politici e giornalisti
Di Massimo Introvigne Direttore del CESNUR (Centro Studi sulle Nuove Religioni)
Il 2 maggio 1998 il CESNUR, Centro Studi sulle Nuove Religioni di Torino, ha diffuso via Internet un comunicato stampa firmato dal suo direttore, Massimo Introvigne, sulla diffusione del fascicolo “Sette religiose e nuovi movimenti magici in Italia” del Ministero degli Interni. Ne riproduciamo uno dei brani finali. Il testo completo è disponibile al sito web del CESNUR – http://www.cesnur.org
Sussurri e grida: poliziotti, politici e giornalisti
Basta esaminare poche pagine del testo per rendersi conto che – nell’espletamento della propria funzione di polizia preventiva – i servizi italiani hanno raccolto ed inventariato tutte le voci: probabili, verosimili e anche decisamente inverosimili. Sfogliando anche soltanto poche pagine, si trovano di continuo espressioni come: “secondo alcune voci non verificate (...)” (p. 56); “secondo fonti indirette (...)” (p. 58); “secondo alcune segnalazioni (...)” (p. 61); “(...) oggetto di varie segnalazioni anonime (...)” (p. 62).
Frequente è anche il riferimento a un unico ritaglio di stampa di un unico organo di informazione (cfr. pp. 100-102), che in alcuni casi è il solo elemento da cui si potrebbe evincere la stessa esistenza di un movimento (per esempio i Figli del Demonio, un fantomatico gruppo satanista di cui ha parlato nel 1997 un articolo del quotidiano La Padania: pp. 100-101). È del tutto normale che i servizi, svolgendo il loro lavoro, collezionino voci più o meno attendibili, dicerie e insinuazioni. Ma è importante che le voci non siano scambiate per informazioni attendibili, nè le dicerie e le segnalazioni anonime siano prese per fatti.
I sussurri, invece, diventano grida, e anche il nulla può fare rumore quando un rapporto di polizia – indirizzato ad autorità che ne conoscono lo stile, gli scopi e i limiti – è dato in pasto alla stampa e trasformato in notizia da prima pagina.
I media – portati, per loro natura, a sottolineare le informazioni più sensazionali – trasformano facilmente le voci in fatti, le insinuazioni in accuse. Per esempio, il 30 aprile 1998, molti quotidiani avevano in prima pagina titoli relativi al “rischio sette per il Giubileo del Duemila” mentre, come si è accennato, il rapporto tende piuttosto a minimizzare questo rischio. Altri quotidiani hanno pubblicato liste di “sette pericolose”, riproducendo semplicemente l’indice delle schede contenute nel rapporto, senza menzionare che molte delle schede non segnalano, per il gruppo preso in esame, alcun genere di pericolo.
Quasi inevitabilmente i brani del rapporto più inclini a segnalare pericoli veri o presunti – su The Family, le “psicosette” o il “lavaggio del cervello” – oltre a essere le parti più deboli del testo, sono anche quelle che hanno trovato più facilmente ospitalità sui mezzi di comunicazione. È vero – peraltro – che due dei tre maggiori quotidiani italiani hanno pubblicato, lo stesso 30 aprile e nella stessa pagina in cui compariva l’articolo sul rapporto, ampie interviste al sottoscritto che mettevano in guardia nei confronti di possibili “cacce alle streghe” e campagne anti-sette (19).
...........................
Anche il nulla può fare rumore quando un rapporto di polizia è dato in pasto alla stampa e trasformato in notizia da prima pagina.
...........................
|
|
Gravi riserve devono invece essere espresse sui tempi con cui il rapporto è stato messo a disposizione anzitutto di alcuni uomini politici e – di conseguenza – della stampa. I media hanno creato un evento che non c’era, e hanno dato in pasto al pubblico liste di “sette pericolose” facilmente interpretate come liste di proscrizione. Migliaia di cittadini italiani – membri di movimenti a cui il rapporto ha ritenuto di dedicare una scheda, spesso escludendo peraltro qualunque attività di natura criminale o pericolosa – rischiano di trovarsi, precisamente come avviene in Francia e in Belgio, additati al pubblico ludibrio o molestati a vario titolo sul posto di lavoro in quanto “membri di una setta”.
Ci si potrebbe chiedere, naturalmente, perché il rapporto è stato reso pubblico proprio il 29 aprile 1998, e proprio con certe modalità. Il problema non riguarda tanto l’attività delle agenzie stampa e dei media – le cui accentuazioni sono, in una certa misura, normali e prevedibili – quanto la decisione, presa non si sa bene da chi, di trasmettere il rapporto a un certo numero di deputati.
Se il mio lavoro – in analogia a quello dei servizi – consistesse nel raccogliere le voci e i “si dice”, analizzerei con attenzione le ipotesi – che sono circolate nei giorni successivi all’episodio – di contrasti interni alla maggioranza che sostiene l’attuale compagine governativa a proposito delle intese che il governo italiano si appresta a stipulare con l’Unione Buddista Italiana (UBI) e con i testimoni di Geova, ovvero a proposito del disegno di legge n. 3947 del governo Prodi “Norme sulla libertà religiosa e abrogazione della legislazione sui culti ammessi”, in corso di discussione proprio mentre il rapporto è stato reso pubblico, o ancora – ma le possibilità non si escludono – di pressioni straniere.
A proposito di quest’ultima ipotesi non sembra affatto impossibile che ambienti politici o intelligence tedeschi o francesi – stufi di essere criticati in sedi internazionali (da ultimo nel corso della cinquantaquattresima sessione della Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra dal 16 marzo al 24 aprile 1998), dove si elogia per contrasto la posizione più tollerante dell’Italia nei confronti delle minoranze religiose – abbiano fatto pressioni perché anche nel nostro paese si facesse finalmente “qualcosa”. Se così fosse si tratterebbe di ingerenze non tollerabili, cui peraltro il rapporto stesso – che sui punti sostanziali assume posizioni diverse rispetto alla produzione politica e poliziesca di altri paesi, offrirebbe elementi per rispondere e resistere.
Quanto ai problemi di casa nostra la stessa rivista ufficiosa dell’Unione Buddista Italiana (UBI) “Paramita, Quaderni di Buddismo per la pratica e il dialogo”, dava conto nel numero di aprile-giugno 1998 di “(...) manovre per sabotare l’Intesa [fra governo italiano e UBI] e sovvertire l’UBI” (21), e rilevava come al centro di tali “manovre” si trovassero parlamentari della Sinistra Democratica i quali, in contrasto con altri esponenti dello stesso partito, opererebbero come referenti politici di una fazione del monachesimo Buddista italiano ostile all’intesa...”
Il lavoro dello studioso, tuttavia, è diverso da quello dei servizi e della polizia. Non consiste nel raccogliere insinuazioni e voci, ma nel proporre narrative il più possibile fedeli alla realtà dei fatti. Non sono peraltro estranee ai compiti dello studioso le ipotesi sul futuro e le previsioni. È probabile che, nei prossimi mesi, giornalisti e ambienti interessati a diffondere notizie sensazionali sul “lavaggio del cervello”, le “psicosette”, il satanismo (in realtà lodevolmente ridotto alle sue reali proporzioni dal rapporto) e ipotetiche “sette” di folli in marcia contro il Giubileo trarranno dal documento – ma soprattutto dalla relativa rassegna stampa – elementi che potranno a vario titolo sfruttare.
Se si distingue – come fanno di solito gli specialisti – fra un movimento anti-sette di ispirazione laicista e un movimento contro le sette di ispirazione cristiana – con importanti differenze fra il primo e il secondo (25) – si deve rilevare come in Italia il movimento anti-sette abbia sempre avuto dimensioni estremamente ridotte. In un’atmosfera di crescente integrazione europea, il movimento anti-sette internazionale – che ha i suoi centri principali in Francia e in Germania – cerca, naturalmente, di esercitare la sua influenza anche in Italia. La modalità principale attraverso cui tale influenza si è finora esercitata, con qualche successo, è costituita dalla diffusione di tesi e scritti di movimenti anti-sette stranieri presso movimenti contro le sette cattolici italiani.
Sfortunatamente, presso settori anche non marginali di questi gruppi cattolici, problemi psicologici e risentimenti personali sembrano talora prevalere su un accostamento pacato e ragionevole ai problemi. Si assiste così, per esempio, alla promozione da parte di cattolici di congetture in tema di “lavaggio del cervello”, non soltanto screditate dagli specialisti ma suscettibili di essere utilizzate – anzi, di fatto utilizzate – contro movimenti cattolici dal laicismo dominante (27).
È probabile che l’evento mediatico costruito ad arte intorno alla diffusione del rapporto possa rinsaldare questi contraddittori e paradossali rapporti fra ambienti anti-sette laicisti stranieri ed esponenti cattolici italiani.
È difficile, tuttavia, ipotizzare che in un contesto politico e culturale diverso da quello tedesco, francese o belga possa davvero nascere in Italia un movimento anti-sette vero più numeroso ed efficiente di quello che ha operato fino ad ora.
Se i rapporti parlamentari francese e belga sono, per fare riferimento ad un noto proverbio, pentole senza coperchi (giacché i loro errori, spesso francamente ridicoli, li hanno rapidamente screditati), l’operazione politica e mediatica costruita intorno al rapporto italiano – da tenere rigorosamente distinta dal rapporto stesso – sembra piuttosto un coperchio senza pentola.
Se sotto il coperchio costruito dalla campagna mediatica del 30 aprile 1998 – che è durata peraltro poco più di ventiquattro ore – chi ha interesse a farlo non riuscirà a costruire la pentola di un credibile movimento anti-sette italiano, l’evento che non c’era del 29 aprile rimarrà un isolato grido nella notte, come di cani che abbaiano alla luna. Si potrà allora rileggere il rapporto con il necessario distacco, e – senza mancare di segnalarne i punti deboli – mettere anche in rilievo quanto di positivo contiene.
|