Una Vita Dedicata All’Odio
Per comprendere cosa sia effettivamente la deprogrammazione (attività basilare dell’ARIS) dovremmo cominciare con un rapido esame di chi si fregia dell’ambito titolo di “padre della deprogrammazione”. Si tratta di tale Ted Patrick, pregiudicato americano meritorio, agli occhi del Malatesta, di tale stima da portarselo in Italia per una serie di tentativi di deprogrammazione fortunatamente falliti. Nel corso di uno di essi, le violenze sono state tali che la vittima, una ragazza, ne è uscita con un piede fratturato.
Da notarsi che il Patrick non solo non ha alcun titolo accademico, ma ha terminato a malapena la quinta elementare. Il Patrick ha introdotto il termine “deprogrammazione” quale eufemismo che conferisse legittimità alle attività manifestamente illecite che conduceva. Nella sua autobiografia, il Patrick in merito alla deprogrammazione ammette quanto segue: “Si può dire che comporta, minimo minimo, sequestro di persona; molto spesso aggressione e percosse, quasi invariabilmente associazione per delinquere e violenza privata”.
Criminale e tossicodipendente, il Patrick è stato più volte in carcere e tre volte condannato per imputazioni tra le quali aggressioni, rapimento, detenzione illecita, violenza privata, sequestro di persona, violazione della libertà sulla parola e detenzione di cocaina.
Il Patrick è stato il maggior fautore di un gruppo americano costituitosi per fomentare l’odio, il Citizen Freedom Foundation [Fondazione per la libertà del cittadino] che in seguito ha assunto il nome di Cult Awareness Network [Rete per la consapevolezza sulle sette], o “CAN”. Negli ultimi anni più di una dozzina di sequestratori/deprogrammatori legati al CAN sono stati arrestati negli Stati Uniti ed incriminati per gli illeciti commessi.
Le più frequenti vittime dei tentativi di sequestro/deprogrammazione sono i seguaci di confessioni cristiane. Cattolici, Battisti, Mormoni, Avventisti del Settimo Giorno, fedeli della Chiesa Episcopale, del Cristo Scientista, sono tutti stati oggetto di aggressioni, come lo sono stati Musulmani e Buddisti.
Uno dei presidenti del CAN, Michael Rokos, personifica la subdola ipocrisia che permea quel nido di deprogrammatori che è il CAN. È stato eletto presidente nazionale del CAN nel 1989, dopo aver coltivato con cura per anni la propria immagine di Cappellano volontario della Polizia del Maryland. Ha rassegnato le dimissioni nel 1990, dopo essere stato colto in flagrante nel tentativo di sollecitare favori sessuali piuttosto insoliti da un giovane agente di polizia che gli si era presentato sotto mentite spoglie.
Nel 1994, il Capo della Sicurezza del CAN, Galen Kelly, si è dichiarato colpevole di reati penali relativi al sequestro di persona. Ha fatto un anno di galera. Il giudice federale gli ha ordinato di sconfessare pubblicamente la deprogrammazione e di interrompere qualunque legame personale con la cosa.
Quanto al CAN, ha recentemente dichiarato fallimento dopo esser stato condannato dal Tribunale Federale di Seattle a pagare parecchi milioni di dollari per aver partecipato al rapimento e tentata deprogrammazione (fallita) di un giovane di fede cristiana (vedi Si dissolve gruppo antireligioso americano).
La frequenza sempre maggiore di sentenze emesse dai tribunali americani contro i deprogrammatori (a conferma che si tratta di attività illecita, perpetrata per lucro) ha spinto i deprogrammatori a cercare nuovi “mercati” in Europa, Italia inclusa.
Un “Atteggiamento Duro e Senza Compromessi”
L’avvocato Michele Del Re è stato legato all’ARIS ed è stato un fermo paladino dell’ideologia a cui fanno riferimento Ted Patrick e gli altri deprogrammatori. Riportiamo qui una sua descrizione di come debba essere condotta una deprogrammazione: “Il ragazzo è soggiogato con la forza è condotto presso il tecnico” (questa la qualifica che il Del Re elargisce al deprogrammatore). “E comincia il deprogramming”.
“Il tecnico ha almeno un assistente nelle sedute, possibilmente robusto, con un passato da poliziotto, guardia carceraria, infermiere psichiatrico....”.
“È sempre necessario che i genitori partecipino al primo momento della deprogrammazione, mentre negli stadi successivi, nei quali l’utilizzo di tecniche di forza potrebbe per ignoranza non essere capita, la loro presenza viene scoraggiata e, se necessario, vietata. Durante le sedute, si utilizza pienamente il principio delle opposizioni. Il tecnico ha il ruolo di simpatico amico che cerca di aiutare il soggetto, mentre l’assistente o gli assistenti mostrano un atteggiamento duro e senza compromessi.”
Nulla da invidiare, in altre parole, alle efficienti tattiche psicologiche impiegate negli interrogatori dalla Gestapo.
Nel suo manualetto il Del Re impartisce, fornendone la sequenza fotografica, istruzioni sul modo di effettuare il sequestro di persona “pulito” (inducendo, cioè, i genitori a compierlo). Ogni fase della deprogrammazione (la privazione del cibo, del sonno, degli indumenti, la violenza verbale e quella fisica) viene presentata con dovizia di particolari ed espressioni di ammirazione per la “efficacia” del Patrick nel distruggere la spontanea volontà della vittima.
Amnesty International si è così espressa: “Fattore determinante, nella tortura, è la sensazione che il torturatore controlli ogni cosa, anche la vita stessa”. Non si potrebbe trovare descrizione migliore per la deprogrammazione, nella quale il deprogrammatore può negare alla vittima il mangiare, il dormire, il bere, a sua totale discrezione. Parimenti ha facoltà di ridicolizzare la vittima, tenerla legata, picchiarla, abusarne sessualmente, o farle violenza in innumerevoli altri modi.
A sostegno di quest’industria della violenza si dichiarano alcuni tra gli psichiatri più famigerati. Lo psichiatra statunitense Louis Jolyon West, tristemente noto per il ruolo svolto negli esperimenti della CIA che impiegavano LSD ed altre droghe letali, e anche per l’acceso razzismo, è uno dei principali “paladini” della deprogrammazione.
In Italia è Mario Di Fiorino lo psichiatra che si è distinto come apologista dei deprogrammatori e di chiunque altro si scagli contro la religione.
Quale inquisitore appoggia ed avalla, oggigiorno, la lotta alle religioni? Dicendo “inquisitore” non ci si riferisce al magistrato che inquisisca. La storia ci insegna che il vero inquisitore raramente è il giudice. Il vero inquisitore è al di fuori dell’arena giudiziaria, intento a cospirare al riparo dal frastuono del dibattito. È colui che inquisisce prescindendo dalle procedure, dal diritto, dalla verità dei fatti. È colui che bolla come eretici tutti coloro che egli vede divergere dalla sua ideologia, od opporsi alla sua posizione di potere o al suo operato. E trasforma quella che è una sua visione personale in una campagna salvifica “per il bene della collettività”.
Luciano Violante, parlamentare di sinistra, presidente della Camera dei Deputati, è stato un inquisitore che ha chiesto la messa al bando di certe organizzazioni religiose in Italia.
Una intervistatrice ha chiesto a Violante se tale messa al bando potesse considerarsi un atto umanitario. “No", ha risposto perentorio l’inquisitore, “è un atto politico, non umanitario”. Se questo scambio di battute non fosse stato registrato e filmato, parrebbe inconcepibile, un incubo allucinatorio.
Ma è un male che, come si è dimostrato nella Germania nazista, può risultare contagioso, diffondersi e distruggere la libertà di religione. Non ci vuol altro, dopo tutto, che “un atto politico”.
Malatesta non ha mai fatto mistero del fatto che Violante sia stato ansioso di dargli man forte nella sua crociata antireligiosa, arrivando al punto di dichiarare pubblicamente, davanti alla telecamera: “Beh, una cosa che posso affermare è che l’onorevole Violante è stato il primo uomo politico che si è sensibilizzato a questo problema. Un uomo veramente molto, molto preparato per questo tipo di problematica emergente. Mi auguro che non rimanga solo lui e che si affianchino altri uomini politici”.
Un articolo comparso sulla Tribuna di Treviso del 23 marzo ’88 rilevava: “L’onorevole Violante è l’uomo che si è mostrato più vicino al dramma umano e alla battaglia legale di Ennio Malatesta”.
L’ARIS: Il Primo Candidato All’Incriminazione
A questo punto abbiamo ormai elementi sufficienti per vedere come lo scopo di Malatesta, Violante e affiliati sia quello di criminalizzare certe religioni al fine di far risorgere in una qualche forma il reato di plagio di memoria fascista. Come ha puntualizzato il Dott. Massimo Introvigne, Direttore del Centro per lo Studio delle Nuove Religioni di Torino, “Il reato di plagio era stato creato dal regime fascista ed è stato depennato dal codice penale molti anni fa [nel 1981] dalla Corte Costituzionale perché contrario alla Costituzione dell’Italia democratica”.
“Va anche rilevato che, all’inizio degli anni ’80, i sociologi hanno analizzato e vagliato a fondo l’ipotizzato nesso tra plagio e nuovi movimenti religiosi, concludendo che non vi erano accettabili prove scientifiche della sussistenza di tale fenomeno. Sia l’Associazione Psicologica Americana che l’Associazione Sociologica Americana hanno assunto ufficialmente, in tale occasione, posizione a favore del verdetto e, come risultato, sia i tribunali americani che quelli inglesi hanno estromesso dalle aule, sia nella normativa che nella prassi, la testimonianza peritale in merito al plagio”.
Ciononostante Malatesta e soci hanno sollecitato l’intervento del legislatore col miraggio, evidentemente, che col ripristino di un reato di plagio si possa nuovamente dare libero sfogo alla repressione e all’intolleranza.
Sempre abile a manipolare le parole perché si adeguino ai suoi fini, Violante ha dichiarato: “... prima in Italia c’era un reato che si chiamava plagio, cioè quando una persona priva un’altra della capacità di determinarsi liberamente. Questo reato poi è stato abolito, ma io credo, per esempio, che bisogna introdurre una nuova figura di reato per punire le organizzazioni che si dedicano a questo”.
Come ha dichiarato l’Arcivescovo di Foggia, Monsignor Giuseppe Casale, leggi del genere costituirebbero “... forme di interferenza impropria dello Stato laico in materia di religione e di fede”. Mons. Casale ha fatto notare che si tratta di “proposte di legge discusse e discutibili, ... come l’esperienza dimostra, capaci di colpire qualunque esperienza religiosa più intensa del consueto, avvenga questa nell’ambito di religioni maggioritarie o minoritarie”.
Inoltre, per quanto Violante e Malatesta da soli non ci arrivino, l’ARIS ed i suoi affiliati che, servendosi della deprogrammazione e delle sue brutali tecniche di plagio psichiatriche, cercano di privare le persone della capacità di determinarsi liberamente, all’avvento di una nuova normativa sul plagio sarebbero i primi candidati all’incriminazione.
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